LAVORI STRAORDINARI, VENDITORE E L’OBBLIGAZIONE VERSO IL TERZO CREDITORE 

CASSAZIONE 25 GENNAIO 2018, N. 1847
Non può essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del vincolo solidale ex art. 63, disp. att. c.c., chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l'obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, nella specie per l'esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente i lavori avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione.

AUTORIZZAZIONE ASSEMBLEARE “AD AGIRE” A TUTELA DEI DIRITTI REALI 

CASSAZIONE 23 LUGLIO 2018, N. 19489
Le azioni reali contro singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni sulla titolarità, sul contenuto o sulla tutela dei diritti reali dei condomini su parti o cose dell'edificio comune (ad esclusione degli atti meramente conservativi), possono essere esperite dall'amministratore condominiale solo previa autorizzazione da parte dell'assemblea a maggioranza qualificata. Il caso di specie tratta della domanda del Condominio finalizzata al ripristino della superficie dell’intercapedine eliminata dai convenuti che eccepiscono la legittimazione ad agire dell’amministratore di condominio correttamente autorizzato dall’assemblea con la maggioranza qualificata del 1136 c.c..

OFFICINA RUMOROSA. ESCLUSO IL RISARCIMENTO DI “DANNO ALLA SALUTE” MA RICONOSCIUTO IL “DANNO DERIVANTE DALLA LESIONE AL NORMALE SVOLGIMENTO DELLA VITA FAMILIARE”. 

CASSAZIONE 03 SETTEMBRE 2018, N. 21554
L'art. 844 cod. civ. impone nei limiti della valutazione della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Viceversa, l'accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all'articolo 844 cod. civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'articolo 2043 del codice civile e, specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile, dell'articolo 2059 cod. civ. (riconosciuto, nella specie, il diritto al risarcimento per il proprietario di un appartamento soprastante una officina rumorosa).

VERANDA VIETATA SE ROVINA L’ASPETTO ARCHITETTONICO 

CASSAZIONE 12 SETTEMBRE 2018, N. 22156
Ai sensi dell’art. 1127 c.c. il diritto di sopraelevazione è limitato dalle condizioni statiche dell’edificio e dall’aspetto architettonico dello stesso. Il giudizio circa l’aspetto architettonico va condotto, esclusivamente con riferimento alle caratteristiche stilistiche e percepibili dell’immobile condominiale, attraverso una valutazione del danno economico riservata al giudice di merito.
Per i giudici di Piazza Cavour le nozioni di decoro e aspetto architettonico, se pur differenti, sono strettamente complementari, sicché anche l’intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicare l’originaria fisionomia ed alterne le linee impressi dal progettista”.

Cassazione civile Sezione II, Sentenza, 16-10-2017, nr. 24301

L’uso esclusivo di un bene comune non è un diritto reale ma è trasmissibile in caso di vendita

L'art. 1117 cod. civ., nell'indicare le parti comuni di un edificio in condominio, dispone che tale indicazione valga "se non risulta il contrario dal titolo". Ne deriva che, al momento di costituzione del condominio, coincidente con la prima vendita di una singola unità immobiliare da parte dell'originario proprietario in virtù di clausole contenute nel relativo atto, anche mediante eventuale richiamo di un previo regolamento di condominio, è lasciata all'autonomia delle parti la possibilità di sottrarre alla presunzione di comunione almeno alcune delle parti altrimenti comuni (cfr. altresì l'art. 1118 cod. civ. per quanto attiene alla possibilità per il titolo di modificare il criterio di proporzionalità dei diritti dei partecipanti sulle cose comuni). Se ciò è possibile, a fortiori è possibile, nella medesima sede costitutiva del condominio, che le parti convengano l'uso esclusivo" di una parte comune in favore di uno o più determinati condomini.
Il nuovo testo dell'art. 1122 cod. civ., introdotto dalla L. n. 220 del 2012, precisando una nozione già desumibile dal sistema, ha poi disposto il divieto, oltre che per il proprietario di parti esclusive, anche per chi sia titolare di "proprietà esclusiva o... uso individuale" su "parti normalmente destinate all'uso comune", di eseguirvi opere che rechino danno alle parti comuni.
Così inquadrato, sulla base di specifici indici normativi, il fenomeno dell'"uso esclusivo" di parti comuni, non è chi non veda che - sotto la dizione sintetica di "uso esclusivo" (cfr. art. 1126 cod. civ.) che si oppone a quella di "uso comune" (cfr. art. 1122 novellato) - si cela la coesistenza, su parti comuni, di facoltà individuali dell'usuario e facoltà degli altri partecipanti (mai in effetti realmente del tutto esclusi dalla fruizione di una qualche utilità sul bene c.d. in uso "esclusivo" altrui), secondo modalità non paritarie determinate dal titolo e, se del caso, dal giudice che debba interpretarlo, in funzione del migliore godimento di porzioni di piano in proprietà esclusiva cui detti godimenti individuali accedano.
In tal senso, non trattandosi, salvo specificità qui non rilevanti, di figure di asservimento o di pertinenza (v., però, per l'ammissibilità astratta in altre ipotesi, Cass. n. 14528 del 08/11/2000 e n. 27302 del 05/12/2013; e v. altresì, per la non configurabilità di servitù o comunque diritti di uso esclusivo, e per una visione meramente ricognitiva dell'uso come possibilità esclusiva di godimento di un condomino senza esclusione di facoltà dominicali degli altri, Cass. n. 6582 del 27.04.2012), deve riconoscersi in generale nella parte comune, anche se sottoposta ad uso esclusivo, il permanere della sua qualità - appunto - comune, derogandosi soltanto da parte dell'autonomia privata al disposto dell'art. 1102 cod. civ., altrimenti applicabile anche al condominio, che consente ai partecipanti di fare uso della cosa comune "secondo il loro diritto" (cfr., per le deroghe pattizie all'art. 1102 c.c., ad es. Cass. n. 10895 del 05/10/1992): nei casi di specie, i partecipanti diversi dall'usuario esclusivo si vedranno diversamente conformati dal titolo i rispettivi godimenti, con maggiori (ma non realmente "esclusive") utilità per l'usuario stesso e minori utilità per gli altri condomini (variando queste ultime, ad es., dalla mera possibilità per i proprietari dei piani superiori di prendere aria e luce, nonchè di esercitare la veduta in appiombo, da una zonetta di cortile attribuita in uso esclusivo, come nel caso in esame, a un proprietario di unità del piano terra, ovvero, eventualmente in aggiunta a quanto innanzi, del potere di transitarvi per accedere all'edificio; sino alla possibilità, per i proprietari dei piani sottostanti, di fruire della funzione di copertura del lastrico e delle terrazze a livello).
Dalla qualifica della cosa in uso esclusivo nell'ambito del condominio quale parte comune di spettanza di tutti i partecipanti, tutti comproprietari, ma secondo un rapporto di riparto delle facoltà di godimento diverso, in quanto fissato dal titolo, da quello altrimenti presunto ex art. 1117 cod. civ. (anche in relazione agli artt. 68 e 69 disp. att.) e art. 1102 cod. civ., derivano i corollari dell'inerenza di tale rapporto a tutte le unità in condominio, con la conseguenza che l'uso esclusivo si trasmette, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa sia dell'unità cui l'uso stesso accede che delle altre correlativamente fruenti di minori utilità.
Esso - quale connotazione del diritto di proprietà ex art. 832 cod. civ. o dell'altro diritto eventualmente spettante sull'unità immobiliare esclusiva cui accede, tendenzialmente perpetuo e trasferibile (nei limiti di trasferibilità delle parti comuni del condominio) - non è in alcun modo riconducibile, se non per assonanza terminologica, al diritto reale d'uso di cui all'art. 1021 cod. civ., di cui l'uso esclusivo di parte comune nel condominio non mutua i limiti nè di durata, nè alla trasferibilità, e neppure le modalità di estinzione.
Deriva da quanto innanzi la piena conformità all'ordinamento della qualificazione giuridica dell'uso esclusivo, non incorrendo tale qualificazione in alcun contrasto nè con il numerus clausus dei diritti reali, in quanto si tratta di manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni, nè con altre norme richiamate, essendo pienamente idoneo l'uso esclusivo a lasciar in essere godimenti pur limitati degli altri partecipanti.

 

In questa sezione verranno riportate le ultimissime sentenze e news riguardanti la sfera condominiale

Cassazione civile Sezione II, Sentenza, 16-10-2017, nr. 24301

L’uso esclusivo di un bene comune non è un diritto reale ma è trasmissibile in caso di vendita

L'art. 1117 cod. civ., nell'indicare le parti comuni di un edificio in condominio, dispone che tale indicazione valga "se non risulta il contrario dal titolo". Ne deriva che, al momento di costituzione del condominio, coincidente con la prima vendita di una singola unità immobiliare da parte dell'originario proprietario in virtù di clausole contenute nel relativo atto, anche mediante eventuale richiamo di un previo regolamento di condominio, è lasciata all'autonomia delle parti la possibilità di sottrarre alla presunzione di comunione almeno alcune delle parti altrimenti comuni (cfr. altresì l'art. 1118 cod. civ. per quanto attiene alla possibilità per il titolo di modificare il criterio di proporzionalità dei diritti dei partecipanti sulle cose comuni). Se ciò è possibile, a fortiori è possibile, nella medesima sede costitutiva del condominio, che le parti convengano l'uso esclusivo" di una parte comune in favore di uno o più determinati condomini.
Il nuovo testo dell'art. 1122 cod. civ., introdotto dalla L. n. 220 del 2012, precisando una nozione già desumibile dal sistema, ha poi disposto il divieto, oltre che per il proprietario di parti esclusive, anche per chi sia titolare di "proprietà esclusiva o... uso individuale" su "parti normalmente destinate all'uso comune", di eseguirvi opere che rechino danno alle parti comuni.
Così inquadrato, sulla base di specifici indici normativi, il fenomeno dell'"uso esclusivo" di parti comuni, non è chi non veda che - sotto la dizione sintetica di "uso esclusivo" (cfr. art. 1126 cod. civ.) che si oppone a quella di "uso comune" (cfr. art. 1122 novellato) - si cela la coesistenza, su parti comuni, di facoltà individuali dell'usuario e facoltà degli altri partecipanti (mai in effetti realmente del tutto esclusi dalla fruizione di una qualche utilità sul bene c.d. in uso "esclusivo" altrui), secondo modalità non paritarie determinate dal titolo e, se del caso, dal giudice che debba interpretarlo, in funzione del migliore godimento di porzioni di piano in proprietà esclusiva cui detti godimenti individuali accedano.
In tal senso, non trattandosi, salvo specificità qui non rilevanti, di figure di asservimento o di pertinenza (v., però, per l'ammissibilità astratta in altre ipotesi, Cass. n. 14528 del 08/11/2000 e n. 27302 del 05/12/2013; e v. altresì, per la non configurabilità di servitù o comunque diritti di uso esclusivo, e per una visione meramente ricognitiva dell'uso come possibilità esclusiva di godimento di un condomino senza esclusione di facoltà dominicali degli altri, Cass. n. 6582 del 27.04.2012), deve riconoscersi in generale nella parte comune, anche se sottoposta ad uso esclusivo, il permanere della sua qualità - appunto - comune, derogandosi soltanto da parte dell'autonomia privata al disposto dell'art. 1102 cod. civ., altrimenti applicabile anche al condominio, che consente ai partecipanti di fare uso della cosa comune "secondo il loro diritto" (cfr., per le deroghe pattizie all'art. 1102 c.c., ad es. Cass. n. 10895 del 05/10/1992): nei casi di specie, i partecipanti diversi dall'usuario esclusivo si vedranno diversamente conformati dal titolo i rispettivi godimenti, con maggiori (ma non realmente "esclusive") utilità per l'usuario stesso e minori utilità per gli altri condomini (variando queste ultime, ad es., dalla mera possibilità per i proprietari dei piani superiori di prendere aria e luce, nonchè di esercitare la veduta in appiombo, da una zonetta di cortile attribuita in uso esclusivo, come nel caso in esame, a un proprietario di unità del piano terra, ovvero, eventualmente in aggiunta a quanto innanzi, del potere di transitarvi per accedere all'edificio; sino alla possibilità, per i proprietari dei piani sottostanti, di fruire della funzione di copertura del lastrico e delle terrazze a livello).
Dalla qualifica della cosa in uso esclusivo nell'ambito del condominio quale parte comune di spettanza di tutti i partecipanti, tutti comproprietari, ma secondo un rapporto di riparto delle facoltà di godimento diverso, in quanto fissato dal titolo, da quello altrimenti presunto ex art. 1117 cod. civ. (anche in relazione agli artt. 68 e 69 disp. att.) e art. 1102 cod. civ., derivano i corollari dell'inerenza di tale rapporto a tutte le unità in condominio, con la conseguenza che l'uso esclusivo si trasmette, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa sia dell'unità cui l'uso stesso accede che delle altre correlativamente fruenti di minori utilità.
Esso - quale connotazione del diritto di proprietà ex art. 832 cod. civ. o dell'altro diritto eventualmente spettante sull'unità immobiliare esclusiva cui accede, tendenzialmente perpetuo e trasferibile (nei limiti di trasferibilità delle parti comuni del condominio) - non è in alcun modo riconducibile, se non per assonanza terminologica, al diritto reale d'uso di cui all'art. 1021 cod. civ., di cui l'uso esclusivo di parte comune nel condominio non mutua i limiti nè di durata, nè alla trasferibilità, e neppure le modalità di estinzione.
Deriva da quanto innanzi la piena conformità all'ordinamento della qualificazione giuridica dell'uso esclusivo, non incorrendo tale qualificazione in alcun contrasto nè con il numerus clausus dei diritti reali, in quanto si tratta di manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni, nè con altre norme richiamate, essendo pienamente idoneo l'uso esclusivo a lasciar in essere godimenti pur limitati degli altri partecipanti.

 

Equitalia. Alla fornitura di acqua si applica la prescrizione quinquiennale

 

La fornitura di acqua ha origine negoziale (sub specie di contratto di somministrazione ex art. 1563 c.c.), pertanto al relativo canone deve essere riconosciuta natura di corrispettivo contrattuale

 

“La natura privatistica del rapporto di utenza Idrica comporta che il termine di prescrizione per il diritto al pagamento del canoni abbia durata quinquennale ex art. 2948, c. 1, n. 4, c.c., come del resto avviene per tutti i contratti di somministrazione periodica o continuativa”. Questo è il principio di diritto espresso dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 16041 dell'08 agosto 2017 in materia di prescrizione di debiti da utenza idrica.

Condizionatori, targhe, decoro architettonico e litigi tra condòmini

 

L'allocazione di questi oggetti e parti d'impianto deve necessariamente seguire una serie di norme:

 

a) quelle dettate dal Comune competente e riguardanti eventuali profili autorizzativi connessi alla natura storica dell'edificio;

 

b) quelle dettate dal condominio e concernenti la tutela del decoro architettonico dell'edificio.

 

Il decoro dell'edificio altro non è che l'estetica data dall'insieme di forme e finiture - sia pur estremamente semplici - dell'edificio.

 

Alterare il decoro vuol dire rovinare l'armonia estetica preesistente; è chiaro che targhe e condizionatori possono nuocere da questo punto di vista.

 

Proprio per ciò il regolamento condominiale se di natura assembleare può prescrivere accorgimenti in relazione all'uso delle parti comuni relativamente a tali installazioni, e se di natura contrattuale può addirittura arrivare a vietare qualsivoglia allocazione.

 

In assenza di tali limitazioni si valuta caso per caso. Certo è che l'ultima installazione - ossia allocazione di targhe e/o condizionatori - non può essere considerata lesiva in presenza di altre simili.

 

In tal senso è utile ricordare una sentenza del Tribunale di Bari resa nel 2012 e nella quale il giudice adito ebbe proprio a chiarire che in relazione a targhe e condizionatori «riesce poco comprensibile come possano ritenersi dannose per l'estetica dello edificio le opere realizzate dalla [...] se sui muri perimetrali sono stati in passato effettuati interventi analoghi a quelli per i quali è causa, se esistono cioè opere preesistenti che hanno già introdotto delle modifiche ai muri perimetrali.

 

E tali opere (condizionatori e targa) sono analoghe a quelle che il condominio vorrebbe far rimuovere. Tali ultime circostanze evidenziano la pretestuosità delle ragioni addotte dall'assemblea condominiale per sostenere l'illiceità delle opere suddette.» (Trib. Bari 24 luglio 2012 n. 2638).

 

Insomma il ragionamento che possiamo estrapolare dalla sentenza del Tribunale pugliese è chiaro: è vero, in linea di massima, il decoro architettonico può essere leso dall'installazione di targhe e/o condizionatori sulla facciata dell'edificio (ricordiamo che si può trattare tanto della facciata principale quanto di una secondaria).

 

Tale lesione, però, non può essere invocata in presenza di altre simili installazioni, perché viene meno l'alterazione inserendosi gli ultimi oggetti installati in un contesto già modificato rispetto a quello originario.

Anticipazione delle spese da parte dell’amministratore di condominio, onere della prova

Tribunale di Milano, Sez. XIII Sentenza del 23/06/2009

L'anticipazione delle spese con esborso di somme personali da parte dell'amministratore deve essere provato dall'attore (potendosi altrimenti prospettare ad es. esborsi dal conto corrente condominiale in passivo) sul quale altresì incombe l'onere di provare l'inerenza delle anticipazioni alla gestione condominiale, in tal modo giustificandosi le legittimazione passiva del Condominio

La data dell' assemblea condominiale va scelta solo in base a calendario civile

Tribunale di Roma, sentenza n.10229 del 12 maggio 2009

Le assemblee condominiali debbono essere convocate in giorni non festivi, ma a tal fine si deve tenere conto solo del calendario civile senza che si possano prendere in considerazione altre festività legate ai diversi credi religiosi, come ad esempio la Pasqua ebraica. E' quanto emerge da una sentenza del Tribunale di Roma che era stato chiamato a dirimere una controversia nata proprio in relazione alla data scelta per l'assemblea. Il Tribunale (sentenza n.10229 del 12 maggio 2009) ha evidenziato che non è possibile sindacare una data di convocazione per un giorno non festivo (secondo il calendario civile) anche perchè del resto il condomino può sempre avvalersi della facoltà di intervenire all'assemblea tramite un rappresentante delegato a norma dell'art. 67 comma 1 delle disposizioni di attuazione al codice civile.

Fonte: studiocataldi.it, Autore: Roberto Cataldi


Locazione di alloggio nell'interesse di una prostituta extracomunitaria. favoreggiamento

Cass. pen., sez. III, sentenza del 13/01/2009 n. 810

In tema di reati contro la moralità pubblica ed il buon costume, integra il delitto di favoreggiamento alla prostituzione il prendere in locazione, nell'interesse di una prostituta, un immobile dove quest'ultima possa esercitare il meretricio.

Omesso pagamento degli oneri accessori, l'amministratore non è titolare di azione diretta nei confronti del conduttore

Trib. civ., sez. V, Roma, 15 gennaio 2007

Ai sensi dell'art. 5 della legge n. 392/1978 , l'omesso pagamento degli oneri accessori da parte del conduttore, qualora il relativo ammontare sia superiore a due mensilità del canone locativo, rappresenta motivo di risoluzione, ex art. 1455 del c.c. . Si tratta appunto di ragione di credito gravante sul conduttore, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 392/1978, poiché avente diretta attinenza al godimento dell'immobile, il cui mancato pagamento espone il proprietario locatore - che, nei confronti dell'ente di gestione condominiale, riveste la qualifica di soggetto passivo di tali ragioni creditorie, attesa la loro natura di onere reale - a corrispondenti azioni di recupero.
Pertanto deve escludersi che il condominio, e per esso il suo amministratore, sia titolare di azione diretta nei confronti del conduttore onde poter conseguire il pagamento dei relativi oneri che, sia l'art. 9 della legge n. 392/1978 che eventuale disciplina convenzionale del rapporto locatizio, pongono a suo carico.


 

 

Il condomino che distribuisce lettere ai vari condomini criticando l’amministratore, non commette il delitto di diffamazione

Corte di Cassazione, Sez. V Pen., Sent. n. 31596 del 29/07/2008

Il condomino che scrive agli altri proprietari una lettera nella quale si critica l’amministratore - accusandolo di usare in modo improprio, illegale ed arbitrario i poteri di amministratore e dichiarando falsità - non commette il delitto di diffamazione, nel caso in cui non vi sia un’aggressione alla sfera morale della persona, ma soltanto una censura delle attività svolte dallo stesso.
Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha precisato anche che si può contestare l'amministratore "usando frasi certamente aspre perché è fuori dubbio che a ciascun condomino spetta il diritto di controllare i comportamenti dell’amministratore e di denunciare eventuali riscontrate irregolarità. ".
(nella specie, l'amministratore non convocava le assemblee e il condominio ritenne con la lettera incriminata di contestare la conduzione del condominio.)


 

Omessa esecuzione di lavori in edifici che minacciano rovina, esclusione della responsabilità dell'amministratore

Cass. pen., sez. IV, 3 aprile 2008, n. 13934

Il destinatario dell'obbligo di provvedere ai lavori necessari, in tema di omessa esecuzione di lavori in edifici che minacciano rovina, per rimuovere il pericolo è il proprietario dell'immobile o colui che, per fonte legale o convenzionale, sia tenuto alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio, ma non l'amministratore del condominio, sul quale non incombono obblighi di questo genere essendogli attribuita soltanto la gestione delle cose comuni.

 

La responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi non ha natura solidale.

Cass. civ., Sez. un., Sentenza 8 Aprile 2008 , n. 9148

Risolvendo un contrasto di giurisprudenza rispetto alla responsabilità solidale o "pro quota" dei condomini per le obbligazioni contratte dall'amministratore nell'interesse del condominio, le S.U. hanno ritenuto legittimo, facendo propria la tesi minoritaria, il principio della parziarietà, ossia della ripartizione tra i condomini delle obbligazioni assunte nell'interesse del condominio in proporzione alle rispettive quote. In particolare, la Corte ha sottolineato che: l'obbligazione, ancorché comune, è divisibile trattandosi di somma di denaro; la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e l'art. 1123 c.c. non distingue il profilo esterno da quello interno; l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote.

"Ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà.
Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza.
Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.

2.6 Il contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno.
Per concludere, la soluzione, prescelta secondo i rigorosi principi di diritto che regolano le obbligazioni contrattuali comuni con pluralità di soggetti passivi, appare adeguata alle esigenze di giustizia sostanziale emergenti dalla realtà economica e sociale del condominio negli edifici.
Per la verità, la solidarietà avvantaggerebbe il creditore il quale, contrattando con l'amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi; ma appare preferibile il criterio della parziarietà, che non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di opportunità per posticipare la ripartizione del debito tra i condomini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell'adempimento."


 

 

I condomini che affiggono comunicati nella bacheca del condominio rischiano una condanna per diffamazione

Corte Cassazione , sez. V sentenza 31 marzo 2008 n. 13540

Rischia una condanna per diffamazione chi affigge in un luogo aperto al pubblico, all'interno del condominio, il nome e cognome dell'inquilino che resta indietro con i pagamenti.

In particolare gli Ermellini hanno precisato che "integra il delitto di diffamazione il comunicato, redatto all'esito di un'assemblea condominiale, con cui un condomino venga indicato come moroso nel pagamento delle spese, qualora essa venga affisso in un luogo accessibile – non già ai soli condomini dell'edificio per i quali può sussistere un interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza dei fatti – ma ad un numero indeterminato di altri soggetti: in tal caso, invero, il requisito della comunicazione con più persone si può ritenere in re ipsa".
 

 

 

Truffa da parte dell'amministratore, fido bancario, verbale di assemblea falso

Cass. pen., sez. II, 5 marzo 2008, n. 10085

L'integrazione del reato di truffa non comporta la necessaria identità fra la persona indotta in errore e la persona offesa, e cioè titolare dell'interesse patrimoniale leso, ben potendo la condotta fraudolenta essere orientata ad un soggetto diverso dal titolare del patrimonio, sempre che sussista il rapporto causale tra induzione in errore e gli elementi del profitto e del danno.
(Nella specie l’amministratore di un condominio aveva ottenuto la disponibilità di un fido bancario per mezzo degli artifici e raggiri costituiti dall'esibizione di un verbale di assemblea condominiale portante le firme false del presidente e del segretario dell'assemblea, e quindi aveva incassato la somma di denaro determinando all'amministrazione condominiale il danno dell'esposizione debitoria in favore dell'istituto bancario, destinatario della condotta fraudolenta).

 

 

L’amministratore di condominio è tenuto ad impedire che il modo di essere dei beni condominiali provochi danni ai condomini o a terzi

Cass. Civ., Sezione III, sentenza del 16 ottobre 2008 n. 25251

La figura dell'amministratore nell'ordinamento non si esaurisce nell'aspetto contrattuale delle prerogative dell'ufficio.

A tale figura il codice civile, e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo d'essere dei beni condominiali provochi danno di terzi.

In relazione a tali beni l'amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo d'essere, si trova nella posizione di custode.

Ciò si verifica in particolare quando, come nella fattispecie per cui e' causa, l'assemblea decide di appaltare lavori a terzi: in tal caso il controllo dei beni comuni nell'interesse del condominio deve infatti considerarsi attribuito all'amministratore quante volte, da un lato, l'appaltatore non e' posto in una condizione di esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori e dall'altro l'assemblea non affida l'anzidetto compito ad una figura professionale diversa dallo stesso amministratore.

Questi allora deve curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condomini od a terzi, come del resto ha già riconosciuto la giurisprudenza allorchè ha considerato l'amministratore del condominio responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei suoi poteri e, in genere, di qualsiasi inadempimento degli suoi obblighi legali o regolamentari.

Tale indirizzo, tendenzialmente piu' rigoroso rispetto al passato, e' del resto espressione dell'evoluzione della figura dell'amministratore di condominio, i cui compiti vanno vieppiù incrementandosi sì da far ritenere che gli stessi possano venire assolti in modo piu' efficace dalle società di servizi, all'interno delle quali operano specialisti in settori diversi, in grado di assolvere alle numerose e gravi responsabilità ascritte allo stesso amministratore dalle leggi speciali.

 

 

Istituzione del registro degli amministratori di condominio

CORTE COSTITUZIONALE, sentenza n.57 del 02/03/2007

LA CORTE COSTITUZIONALE, con sentenza n.57 del 2007,

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Siciliana 20 gennaio 2006, recante «Riproposizione di norma concernente l'istituzione del registro degli amministratori di condominio», sollevata, in riferimento agli art. 117, secondo comma, e 120 della Costituzione, dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della medesima delibera legislativa, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, e 3, commi 1 e 3, della legge della Regione Marche 9 dicembre 2005, n. 28 (Istituzione del registro degli amministratori di condominio e di immobili), e, per conseguenza, della restante parte dell'intera legge.


 

 

 

 

tratto da overlex.com

 

Stop alle spese personali nelle ripartizioni
L’assemblea di condominio non può addebitare unilateralmente spese a carico di un condomino, atteso che detto divieto rappresenta un principio informatore in materia di comunione e condominio; così si è espressa la Corte di Cassazione, II sezione, con la sentenza n. 24696 del 06/10/2008.
La controversia trae origine da un’assemblea condominiale che aveva ripartito, interamente a carico di un condòmino, la spesa relativa al compenso conferito al legale che aveva sollecitato quest’ultimo al pagamento della sua quota condominiale per il consumo di acqua; l’impugnazione era stata proposta davanti al Giudice di Pace, che aveva respinto la domanda e la sentenza, emessa secondo equità, era stata impugnata davanti alla S.C., che ha, invece, accolto il ricorso, affermando che è affetta da nullità la deliberazione dell'assemblea condominiale che incida sui diritti individuali di un condomino, come quella che ponga a suo totale carico le spese del legale del condominio per una procedura iniziata contro di lui, in mancanza di una sentenza che ne sancisca la soccombenza.
Il principio violato stabilisce che il potere ripartitorio dell’assemblea non possa andare oltre a quanto disposto dalla legge, per cui l’assemblea che ripartisca le spese in base a criteri diversi da quello improntato sulle quote (o a carico di un solo condòmino) agisce al di fuori delle sue competenze e la delibera conseguente è, pertanto, nulla radicalmente.
La questione, in realtà, coinvolge tutte le ipotesi delle cosiddette “spese personali” ovvero spese riconducibili, di fatto, a determinati condòmini ma da questi ultimi non espressamente accettate e che figurano in specifiche colonne, evidenziate nei riparti predisposti dall’amministratore e ratificati dall’assemblea in occasione dell’approvazione; un altro caso ricorrente è quello relativo alla spesa di idraulico incaricato dall’amministratore ma che sia intervenuto, una volta verificata la causa del danno, su una conduttura privata che, normalmente, viene addebitata a carico del condòmino, mentre dovrebbe essere ripartita tra tutti e, al limite, richiesta in via giudiziaria al responsabile; altra ipotesi ricorrente è quella delle spese postali (o dei solleciti dell’amministratore), che vengono contabilizzate non in maniera collettiva, tra le spese condominiali, ma attribuite singolarmente ai singoli condòmini.
Qualora, infatti, l’amministratore sostenga delle spese (legali, tecniche, di manutenzione) nell’interesse del condominio, anche qualora detti costi siano imputabili a comportamenti illegittimi di singoli condòmini, devono permanere a carico della comunità condominiale che l’ha direttamente autorizzati, e la ripartizione deve seguire il principio millesimale, fatta salva autonoma azione giudiziaria diretta al risarcimento del danno; un'altra fattispecie non del tutto rara, riguarda le spese di accertamento tecnico circa la legittimità o meno di una modifica operata da un condomino su una parte comune; in nessun caso, neppure di violazione di legge, la spesa relativa al perito incaricato dall’amministratore potrà essere posta unilateralmente e arbitrariamente, dall’assemblea, a carico del condòmino responsabile dell’abuso senza una pronuncia del giudice in tal senso.


 

Il singolo condomino non può attrarre il bene comune nell'orbita della propria disponibilità esclusiva

Corte di Cassazione Sez. 2 Civile, Sentenza del 06/11/2008, n. 26737

Il pari utilizzo delle parti comuni deve essere sempre garantito in condominio. L'articolo 1102 cod. civ. vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune nell'orbita della propria disponibilita' esclusiva mediante un uso particolare e l'occupazione totale e stabile e di sottrarlo in tal modo alle possibilita' attuali e future di godimento degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa.

 

 

Delibera condominiale di adibire il cortile comune a parcheggio di motocicli

Corte di Cassazione Sez. II civ., sentenza n. 5997 del 05/05/2008

La delibera condominiale con la quale si decide di adibire il cortile comune - di ampiezza insufficiente a garantire il parcheggio delle autovetture condominiali - a parcheggio dei motoveicoli, con individuazione degli spazi, delimitazione ed assegnazione degli stessi ai singoli condomini, non dà luogo ad una innovazione vietata dall'art. 1120 cod. civ., non comportando tale assegnazione una trasformazione della originaria destinazione del bene comune, o l'inservibilità di talune parti dell'edificio all'uso o al godimento anche di un singolo condomino.

 

 

Presunzione di condominialità, vano destinato a cabina idrica utilizzato in maniera esclusiva da un condomino

Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2008, n. 5891

L'art. 1117 c.c. non stabilisce propriamente una «presunzione di condominialità» dei beni che si sono menzionati, trattandosi piuttosto di norma che direttamente li attribuisce ai titolari delle proprietà individuali, i quali senz'altro li acquistano insieme con le rispettive loro porzioni immobiliari, in ragione della connessione materiale o funzionale che lega gli uni alle altre, salvo che il titolo disponga diversamente. (Nella specie, vano destinato e adibito a cabina idrica a servizio di tutti gli appartamenti dell'edificio dal momento della sua costruzione, ma utilizzato in maniera esclusiva da un condomino).


 

 

Muri perimetrali, apertura di collegamento con altra unità immobiliare sita nel Condominio confinante

Cassazione civile , sez. II, sentenza 21/04/2008 n. 10324

I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo dell'edificio stesso, di cui costituiscono parte organica per la suddetta funzione e destinazione, cosicché possono essere utilizzati dal singolo condomino solo per il miglior godimento della parte del fabbricato di sua proprietà esclusiva, ma non possono essere usati, senza il consenso di tutti i comproprietari, per l'utilità di altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini e costituente una unità distinta rispetto all'edificio comune, in quanto ciò comporterebbe la costituzione di una servitù a carico del suddetto edificio per la quale occorre il consenso di tutti i comproprietari; pertanto costituisce uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati nell'articolo 1102 c.c., l'apertura praticata dal condomino nel muro perimetrale dell'edificio condominiale per mettere in collegamento una unità immobiliare di sua esclusiva proprietà, esistente nell'edificio condominiale, con altro immobile, sempre di sua proprietà, ricompreso in un diverso stabile condominiale.


 

 

Stabilire l’appartenenza di un manufatto, proprietà comune o esclusiva

Cass. civ. sez. II, 14 Marzo 2008 , n. 7043

In assenza di un titolo contrario, devono ritenersi comuni tutte le pareti del manufatto che costituiscono la prosecuzione verticale dei muri del piano sottostante di proprietà comune.
In aggiunta, devono considerarsi condominiali le facciate del manufatto in relazione alla loro destinazione, avendo necessariamente la funzione di reggere il solaio ritenuto di proprietà comune.

Al riguardo, la Corte ha formulato il seguente principio di diritto: "Per stabilire l’appartenenza, in proprietà comune od esclusiva di un condomino, di un manufatto, occorre verificare la natura condominiale o meno del suolo su cui esso sorge, salva l’esistenza del titolo contrario".

 

 

Per configurare il "supercondominio" basta la comunanza di impianti e servizi

Cass., sez. civ. II, Sentenza 31 Gennaio 2008, n. 2305

Come la particolare comunione regolata dall'art. 1117 ss. c.c., si costituisce, ipso iure et facto, senza bisogno d'apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d'approvazioni assembleari, nel momento in cui l'unico proprietario d'un edificio questo frazioni in più porzioni autonome la cui proprietà esclusiva trasferisca ad una pluralità di soggetti od anche solo al primo di essi, ovvero ove più soggetti costruiscano su un suolo comune, ovvero ancora quando l'unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento che ad esso da origine. (Cass. 4.10.04 n. 19829, 10.9.04 n. 18226, 19.2.04 n. 3257, 5.10.83 n. 5794, 18.1.82 n. 319, 18.12.78 n. 6073, 3.1.77 n. 1), così anche il supercondominio, istituto d'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale basata sull'interpretazione estensiva delle norme dettate per il condominio negli edifici, viene in essere, del pari ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi (viale d'ingresso, impianto centrale per il riscaldamento, parcheggio, locali per la portineria e/o per l'alloggio del portiere, ecc.) legati, attraverso la relazione di accessorio a principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, pro quota, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (Cass. 18.4.05 n. 8066, 3.10.03 n. 14791, 7.7.00 n. 9096, 8.8.96 n. 7286).
In tal caso, i comunisti debbono nominare un amministratore che dei detti beni, comuni a tutti i condomini dei vari condomini, assicuri la gestione, in difetto di che può intervenire, a richiesta degli interessati.


 

 

E' condominiale il bene che per le sue caratteristiche funzionali e strutturali serva al godimento di tutte le parti singole dell'edificio

Cass., sezione II, sentenza 14 marzo 2008 n. 6981

Qualora, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, un bene serva al godimento di tutte le parti singole dell'edificio e sia a esse funzionalmente collegato, si presume che possa essere utilizzato da tutti i condomini o soltanto da alcuni di essi e dall'entità del collegamento e della possibile utilizzazione concreta - la contitolarità necessaria di tutti i condomini sul bene.

 

 

Diritto di agganciare le tende alla soletta del balcone "aggettante"

Cass. civile, Sez. II, 17 luglio 2007, n. 15913

La corte, con sentenza del 17 luglio 2007, n. 15913, ha precisato che l'art. 1125 c.c. non può trovare applicazione nel caso dei balconi "aggettanti", i quali sporgendo dalla facciata dell'edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono; e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura dell'edificio (come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio), non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani; ma rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono.

Ne consegue che il proprietario dell’appartamento sito al piano inferiore, non può agganciare le tende alla soletta del balcone "aggettante" sovrastante, se non con il consenso del proprietario dell'appartamento sovrastante.


 

 

La gronda di un tetto di un edificio condominiale è comune a tutto l'edificio.

Cass. civ., sez. II, 15 maggio 2007, n. 11109

La gronda di un tetto di un edificio condominiale costituisce bene comune, in quanto, essendo parte integrante del tetto e svolgendo una funzione necessaria all'uso comune, ricade tra i beni che l'art. 1117 n. 1 c.c. include espressamente tra le parti comuni dell'edificio; (In applicazione del riportato principio, la Suprema Corte ha affermato che qualora si chieda giudizialmente l'abbattimento della gronda è indispensabile interpellare in giudizio tutti i condomini, quali litisconsorti necessari).

 

 

L'amministratore è legittimato ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condomini anche senza il preventivo assenso dell'assemblea

Cass. civ. Sez. II Sent.enza n. 24391 del 01/10/2008

Ai sensi degli artt. 1130, primo comma, n. 4), e 1131 cod. civ., , l'amministratore può dare mandato all’avvocato di avviare un procedimento giurisdizionale d'urgenza anche senza una specifica deliberazione assembleare, ma a condizione che lo stesso agisca per la tutela delle parti comuni dell'edificio, ivi compresa la richiesta delle necessarie misure cautelari.


 

Regolamento di condominio, illegittime le sanzioni che superano i 5 centesimi di euro (100L.)

Cassazione, sentenza del 21/04/2008 n 10329

La Cassazione con sentenza n. 10329 del 21/04/2008 ha ritenuto nuovamente nulla la sanzione superiore a 5 centesimi di euro (100 L.) prevista dal regolamento condominiale.
(Art.70 disp.att. C.C.).

In questi termini, si era già espressa con la sentenza n. 948 del 1995: "Il regolamento di condominio non può prevedere, per l'infrazione alle sue disposizioni, sanzioni pecuniarie di importo superiore a lire cento"


 

 

Delibera annullabile se l'amministratore nega la documentazione al condomino prima dell'assemblea

Cass. civ., Sez. II, Sentenza 19 Maggio 2008 , n. 12650

La violazione del diritto di ciascun condomino di esaminare a sua richiesta secondo adeguate modalità di tempo e di luogo la documentazione attinente ad argomenti posti all'ordine del giorno di una successiva assemblea condominiale determina l'annullabilità delle delibere ivi successivamente approvate, riguardanti la suddetta documentazione, in quanto la lesione del suddetto diritto all'informazione incide sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari.

In tema di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea condominiale, benché l'amministratore del condominio non abbia l'obbligo di depositare la documentazione giustificativa del bilancio negli edifici, egli è tuttavia tenuto a permettere ai condomini che ne facciano richiesta di prendere visione ed estrarre copia, a loro spese, della documentazione contabile, gravando sui condomini l'onere di dimostrare che l'amministratore non ha loro consentito di esercitare tale facoltà.

Nel caso di specie, ne consegue che erroneamente la sentenza impugnata ha affermato che l'eventuale rifiuto dell'amministratore di consentire all'attuale ricorrente di estrarre copia della documentazione contabile non avrebbe influito sulla validità della assemblea di approvazione del bilancio.


 

 

Impugnazione delle delibere condominiali, cessazione della materia del contendere

Tribunale Torino, Sez. III Civ., Sentenza del 19 luglio 2008, n. 4459

In tema di impugnazione delle delibere condominiali, la disposizione dell'art. 2377, ult. comma, c.c., secondo cui l'annullamento della deliberazione assembleare non può avere luogo se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge o dell'atto costitutivo, benché dettata con riferimento alle società per azioni, ha carattere generale ed è perciò applicabile anche alle assemblee dei condomini di edifici, con la conseguenza che nel giudizio di impugnazione di una deliberazione assembleare del condominio si verifica la "cessazione della materia del contendere" quando risulti che l'assemblea dei condomini, regolarmente riconvocata, abbia validamente deliberato sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata.

 

 

Delibere in tema di ripartizione delle spese: nulle o annullabili

Cass., Sezione II, sentenza del 24 luglio 2008 n. 20394

In tema di ripartizione delle spese, le delibere sono nulle se l'assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifica i criteri stabiliti dalla legge, mentre sono annullabili nel caso in cui i suddetti criteri siano violati o disattesi con la conseguenza che la delibera deve essere impugnata nel termine di cui all'art. 1137 u.c. del codice civile.


 

 

Le spese non impugnate e deliberate dall' assemblea non possono essere oggetto di contestazione in sede giudiziale

Trib. civ., sez. IV, Bari, 30 ottobre 2007, n. 2541

Le spese approvate e deliberate dalle assemblee, non impugnate ai sensi dell'art. 1137 c.c., sono ormai divenute vincolanti nei confronti di tutti i condomini ed in forza di tale persistente efficacia, non essendovi prova di annullamento delle stesse, non possono essere oggetto di contestazione in sede giudiziale.


 

 

Niente forme rigorose per la contabilità dell'amministratore condominiale

Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2007, n. 1405

In materia di condominio, per la validità della delibera di approvazione del preventivo non è necessaria la presentazione all'assemblea di una contabilità redatta con rigorose forme, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, essendo a tal fine sufficiente che essa sia idonea a rendere intelligibile ai condomini medesimi le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione, né richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell'organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all'approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall'amministratore alla stregua della documentazione giustificativa.

Devono, pertanto, ritenersi valide le deliberazioni assembleari con le quali si stabilisce che il bilancio preventivo per il nuovo esercizio sia conforme al preventivo o al consuntivo dell'esercizio precedente, risultando in tal modo determinate per relationem sia la somma complessivamente stanziata sia quella destinata alle singole voci, mentre la ripartizione fra i singoli condomini deriva automaticamente dall'applicazione delle tabelle millesimali.


 

 

Ricorso ex art. 700 c.p.c., revoca dell'esecuzione di una delibera assembleare di un condominio

Trib. civ. Salerno, 15 dicembre 2007

È inaccoglibile il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto al fine di ottenere la revoca dell'esecuzione di una delibera assembleare di un condominio (nella specie, di soppressione del servizio di riscaldamento centralizzato), nel frattempo non impugnata e perciò efficace, sia per l'esistenza del rimedio (anche cautelare, mediante sospensione) tipico di cui al comma 2 dell'art. 1137 c.c., sia perché altrimenti capace di attuare un sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non di mera legittimità, ma esteso fino alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l'assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, rivelandosi idoneo a coartare la stessa secondo obiettivi di presunta opportunità.